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Leonardo trasformò la sala in un complicato pergolato arboreo, creato dall’intreccio delle fronde di sedici alberi di gelso e impreziosito da corde.
Sulle pareti dipinse i robusti tronchi piantati su un alto terrapieno, creando a monocromo radici, pietre e un paesaggio. La scelta degli alberi di gelso o gelsomoro, solidi e robusti, costituiva un sicuro riferimento al soprannome dello Sforza, chiamato Moro per la sua carnagione scura e ne ricordava il ruolo nella diffusione della piantagione dei gelsi, alla base della fiorente produzione della seta in Lombardia. Inoltre, dal punto di vista simbolico questa pianta, definita sapientissima omnium arborum e probabilmente accostata al duca di Milano dal poeta di corte Bernardo Bellincioni, permetteva di celebrare la saggezza politica del Moro e la stabilità raggiunta dal ducato sotto il suo governo.